Il peperoncino è compreso nel gruppo della specie Capsicum L., un genere di piante della famiglia delle Solanaceae originario delle Americhe, ma attualmente coltivato in tutto il mondo. Oltre al peperoncino questo genere comprende anche il peperone. Secondo alcuni, il nome latino “Capsicum” deriva da “capsa“, che significa scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto, una bacca, che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. La nota pungenza del peperoncino è dovuta alla presenza di sostanze chimiche appartenenti al gruppo dei capsaicinoidi (vedi figura 1), rappresentati per oltre il 90% da capsaicina e omoidrocapsaicina1,2. Sono proprio queste sostanze ad “ingannare” il nostro cervello, facendoci credere che la nostra bocca stia per andare a fuoco. Cosi non è.

 

Figura 1
Figura 1. I capsaicinoidi presenti nel peperoncino rosso.

Oltre alle già famose proprietà del peperoncino, come quella di agente vaso dilatatorio (utile per il controllo della pressione arteriosa) o di afrodiasico o di fonte ricchissima di vitamina C,  uno studio recentissimo del maggio 2018, mette in evidenza le caratteristiche che questo gruppo di sostanze in esso contenute, i capsaicinoidi appunto, possono essere sfruttate nei soggetti affetti da sindrome metabolica. Quest’ultima non è una singola patologia ma un insieme di fattori, quali:

  • circonferenza vita maggiore di 80 cm per le donne e 94 cm per gli uomini;
  • insulino-resistenza, che può portare a diabete mellito di tipo 2;
  • ipertensione arteriosa;
  • iperlipidemia (colesterolo e trigliceridi alti);

Tutti fattori che, da letteratura scientifica, comportano un aumento della percentuale di rischio di fenomeni cardiovascolari, come trombosi, ischemia o infarto dovuti alla formazione della “placca ateromatosa” sulle pareti delle arterie, causata dall’ossidazione delle lipoproteine LDL (colesterolo cattivo) con conseguente ostruzione del lume arterioso.

Ma qual è il meccanismo con cui il peperoncino determina un miglioramento del quadro clinico del paziente con sindrome metabolica? L’effetto farmacologico della capsaicina si esplica attraverso l’interazione con un recettore, il TRPV1, un recettore canale appartenente alla famiglia dei TRP (Transient Receptor Potential).3,4   Si tratta di un canale a 6 domini transmembrana, permeabile agli ioni Ca2+ e Na+ e che può essere attivato da stimoli quali:

  • temperatura;
  • abbasssamento del pH;
  • rilevamento osmotico di molecole endogene/esogene;
  • stimoli meccanici;

Secondo lo studio pare che sia proprio l’interazione recettore-capsaicina ad essere la “causa” degli effetti sui soggetti con sindrome metabolica (uomini o animali) sottoposti ai vari esperimenti. Il tutto è stato dimostrato in quanto nei topi KO (ovvero nei quali il gene che codifica per il recettore TRPV1 non è stato espresso) i benefici della capsaicina non si sono registrati. Immagine

Sebbene TRPV1 inizialmente è stato identificato sulle fibre nervose sensoriali5, la sua presenza è stata riscontrata anche in molti altri tessuti, con la massima espressione nei gangli neuronali (sono delle “stazioni” del sistema nervoso centrale presenti sia a ridosso del midollo spinale che localizzati a livello cerebrale), sui neuroni,vescica urinaria e testicolo6 con espressione più ridotta in altri tessuti tra cui adipociti, cellule muscolari lisce, endoteliali, pancreatiche, fegato, cuore, muscolo scheletrico e rene.7,13

La capsaicina si lega alla tasca intracellulare del recettore vanilloide TRPV1, alterando allostericamente le sue proprietà, causando così un’apertura del poro ed un aumento della permeabilità agli ioni Ca2+ (14,15). Questo afflusso di Ca2+ comporta una variazione del potenziale di membrana che consente il rilascio di neurotrasmettitori, come ad esempio il peptide correlato al gene della sostanza P e della calcitonina, attraverso l’interazione con recettori a domini transmembrana, accoppiati a proteine G (caratteristica di questi recettori è che determinano una cascata di fosforilazioni/attivazioni)16,17.

Grazie a questo tipo di intereazione la capsaicina ha determinato:

  • un aumento del GLP-1 (Glucagon Like Peptide-1, ormone detto “incretinico” che stimola il rilascio di insulina dalle beta-cellule pancreatiche tramite l’aumento della loro massa cellulare, ottimizzando il controllo della glicemia post-prandiale) con miglioramento della sensibilità insulinica sia negli studi condotti su animali che uomini18. La spiegazione di questo trova fondamento nell’isolamento del TRPV1 sulle cellule intestinali che secernono il GLP-1;
  • una diminuita secrezione di grelina (ormone sintetizzato dalle cellule gastriche e pancreatiche che stimola l’appetito), indicando una possibile interazione tra TRPV1, sistema incretinico e sazietà19.

Tra i principali effetti, studiati in “vivo” ed in “vitro”, si registrano risultati importanti nel metabolismo del glucosio, con:

  • aumento dell’assorbimento del glucosio nelle cellule muscolari20 e attivazione di vie che solitamente vengono stimolate in condizioni di restrizione energetica (AMPK), i cosiddetti “geni della longevità”;
  • diminuzione dell’assorbimento del glucosio nelle cellule intestinali dei mammiferi, con l’assorbimento che diminuisce all’aumentare dell’intake giornaliero di capsaicina (e quindi di peperoncino)21.
  • aumento dell’espressione di enzimi della glicolisi (triosofosfato isomerasi ed fosfoglicerato mutasi) nelle cellule epiteliali dell’intestino che si traduce in una più marcata utilizzazione del glucosio22;

Studi condotti su soggetti umani sani hanno dimostrato che l’integrazione nella dieta con estratti capsaicinoidi ha determinato effetti simili a quelli visti negli studi in laboratorio, quindi che coinvolgevano sia l’utilizzo del glucosio da parte dei muscoli che il sistema incretinico23.

È stato condotto uno studio in doppio cieco (un esperimento scientifico dove viene impedito ad alcune delle persone coinvolte di conoscere informazioni che potrebbero portare a effetti di aspettativa consci o inconsci, così da invalidarne i risultati) dove per 8 settimane consecutive nella dieta dei soggetti è stata integrata una quota costante di capsaicina o derivati.

Lo studio ha registrato risultati significativi che riguardano un miglioramento dello stato metabolico24 con particolare riferimento:

  • All’insulinemia, con valori in diminuzione;
  • Alla resistenza insulinica, diminuita;
  • Alla presenza di adipochine infiammatorie (prodotte dal tessuto adiposo e che sono tra le responsabili proprio dell’insulino-resistenza).

Un altro importante effetto della capsaicina riguarda l’equilibrio del microbiota umano. Sei settimane di intervento alimentare con un supplemento di capsaicina hanno registrato:

  • un aumento dei batteri benefici, appartenenti al gruppi dei gram positivi, circa 250, con particolare riferimento alla classe dei Faecalibacterium, lactobacillus, lactococcus, enterococcus;
  • un aumento degli ormoni incretinici GLP-1 e GIP (Glucose-dependent insulinotropic peptide) prodotti da cellule intestinali con un miglioramento della risposta glicemica post-prandiale;
  • una diminuzione della grelina, ormone dell’appetito;
  • una diminuzione del lipopolisaccaride plasmatico, una tossina rilasciata dai batteri gram negativi, molto tossica;
  • una diminuzione della popolazione batterica25 di gram negativi;

Si evidenziano risultati anche su gruppi di soggetti ai quali è stato proposto l’introito, nella loro dieta, di circa 2,56 mg di capsaicina (presenti in circa 1 g di peperoncino rosso) al giorno; si è registrato un aumento del senso di sazietà, un effetto energico ed in particolare una diminuzione dell’assunzione ad libitum del cibo, in pratica chi consuma regolarmente peperoncino, mangia di meno subito dopo26.

Le limitazioni per l’uso clinico della capsaicina, come integratore o nutraceutico, trovano spiegazione nella sua elevata pungenza una volta ingerita e che potrebbe non essere sopportata da tutti. Le ultime ricerche scientifiche hanno come obiettivo comune l’uso di agonisti dei recettori TRPV1 (proprio come la capsaicina) da somministrare per via orale con azione capsaicina-simile ma che mancherebbero della pungenza; un esempio è quello del peperoncino dolce CH-19, che contiene tre analoghi della capsaicina:

  • capsiato;
  • diidrocapsiato;
  • nordiidrocapsiato;

Effetti avversi si sono registrati in circa il 10% dei pazienti che fanno largo uso di prodotti topici a base di capsaicina per il trattamento del dolore, con:

  • eritema cutaneo;
  • dolore nel sito di applicazione dei cerotti;
Capsiate
Figura3. Struttura chimica del capsiato, analogo della capsaicina.

Infine è importante sottolineare che:

  • è importante consumare quotidianamente e abbinare il piccante alle pietanze che presentiamo a tavola, non solo per le caratteristiche elencate in questo articolo ma anche per altre proprietà che, come detto prima, permettono di avere un miglior controllo della pressione arteriosa e di aumentare anche l’assorbimento del ferro (grazie all’azione della vitamina C presente nel peperoncino 4 volte di più rispetto all’arancia);
  • si consiglia di limitare l’uso di peperoncino piccante  a chi  presenta disturbi gastro-intestinali, come reflusso gastroesofageo o sindrome del colon irritabile;

 

BIBLIOGRAFIA

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