Albumina glicata:  biomarcatore complementare all’emoglobina glicata nel monitoraggio della glicemia post-prandiale, uno studio Giapponese ha dimostrato la reale importanza.

Il diabete mellito è una patologia conosciuta per l’elevata frequenza nella popolazione mondiale del terzo millennio, soprattutto nei Paesi industrializzati. Il diabete mellito di tipo 2 (quello alimentare, per intenderci) in Italia, coinvolge il 5% della popolazione (3 milioni di diabetici) e di questa il 16% ha più di 55 anni. L’espansione di questa patologia, negli ultimi trentanni, ha conosciuto un aumento quasi esponenziale: si è passati dal 2,9% degli anni ’80 a più del 5% dei giorni nostri (Fonte Istat 2016).

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Dati Istat sul diabete in Italia degli ultimi 30 anni: da notare che sedentarietà ed obesità sono tra i fattori di rischio più frequenti di questa patologia.

Tra le cause di questo aumento inesorabile, lo stile di vita sedentario e l’obesità (anche questa sempre più crescente nella popolazione dei Paesi più avanzati) sono sicuramente i principali fattori responsabili.  Tra i parametri clinici che oggi vengono usati dalla comunità scientifica per la diagnosi e la gestione della glicemia nel paziente diabetico, oltre a quelli classici quali glicemia basale a digiuno, l’Emoglobina glicosilata (HBA1C), uno studio giapponese recente (Studio KOPS, Kyushu and Okinawa Population Study) ha introdotto l’albumina glicata (AG), parametro predittivo di rischio cardiovascolare, soprattutto nella gestione del paziente diabetico di tipo 1. L’albumina è una delle proteine plasmatiche sintetizzate dal fegato ed è la più importante di tutte quelle presenti nel sangue. Le sue concentrazioni fisiologiche oscillano tra 3,5 e 5,5 g/dL. Presenta diversi domini, ciascuno dei quali ha funzioni diverse e in grado di legare molecole come farmaci (ad esempio ansiolitici e anti-dolorifici come benzodiazepine ed ibuprofene), altre molecole endogene come bilirubina ed acidi grassi ma presenta anche dei siti specifici per la glicazione, ovvero la reazione tra uno zucchero (in questo caso il glucosio in circolo) e la proteina (il gruppo amminico di un amminoacido specifico dell’albumina, soprattutto residui di lisina). La glicazione dell’albumina fa parte di quella serie di reazioni che porteranno alla formazione dei prodotti di glicazione avanzata (AGEs). Nella forma glicata, l’albumina non presenta semplicemente cambiamenti nelle sue funzioni fisiologiche, ma acquista anche un fenotipo patologico. I livelli elevati di AG possono indurre danni irreversibili nei diversi organi, che sono i principali bersagli delle complicanze del diabete mellito (come le arterie coronarie, il sistema cardiovascolare, il rene, l’occhio e il sistema nervoso). Ad esempio, nel rene, AG stimola le cellule epiteliali e del mesangio a produrre molecole pro-ossidanti e tessuto connettivo, contribuendo così all’insorgenza della nefropatia1,2.

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Elettroforesi della proteine plasmatiche: l’albumina, come si vede dal grafico, è la proteina plasmatica più abbondante nel nostro organismo.

Ma quindi, perché usare l’albumina piuttosto che l’emoglobina glicata? L’HBA1C è un parametro che ci consente di avere una stima della glicemia degli ultimi 3 mesi del paziente, in quanto dipende dalla vita media dell’emoglobina stessa e quindi del globulo rosso (circa 120 giorni); l’albumina, con emivita (il tempo necessario affinché la concentrazione plasmatica della proteina si dimezzi) di “soli” 21 giorni, ci consente di avere un quadro più immediato della concentrazione media del glucosio nel sangue (2-3 settimane antecedenti il prelievo); ad esempio, nel monitoraggio di nuove terapie antidiabetiche oppure in caso di diabete mellito 1 dove si può assistere a repentini cambiamenti della concentrazione glicemica.  I livelli di albumina glicata aumentano più velocemente di quelli dell’emoglobina per ragioni biochimiche, come le diverse condizioni di glicazione e la maggiore concentrazione sierica dell’albumina stessa.

Per la stessa ragione, l’albumina glicata è usata come biomarcatore complementare all’emoglobina glicata nel monitoraggio della glicemia post-prandiale (parametro molto importante come fattore predittivo di malattie cardiovascolari) proprio perché i valori di glucosio dopo il pasto possono fluttuare vertiginosamente nei pazienti con diabete di tipo 1. Lo studio giapponese KOPS, citato ad inizio articolo, ha suggerito l’utilità di AG nella diagnosi del diabete mellito nella popolazione giapponese, utilizzando 15,5% come cut-off diagnostico (sensibilità 83,3%, specificità 83,3%).

In un altro studio trasversale, eseguito sempre su pazienti asiatici con glicemia basale compresa tra 100 e 130 mg/dL ed emoglobina glicosilata inferiore al 6,5%, con diabete mellito diagnosticato mediante test di carico orale di glucosio, il valore di albumina glicata superiore al 15,2% ha rappresentato un utile strumento di screening della presenza di malattia3,4.  Da diversi studi è emerso che i livelli di albumina glicata sono direttamente correlati con l’incidenza di diabete mellito e le sue complicanze micro-vascolari nonché del rischio aterosclerotico, paragonabili ai livelli di emoglobina glicosilata5. I valori di emoglobina ed albumina glicata sono stati associati alla presenza di nefropatia e retinopatia diabetica mentre le malattie cardiovascolari sono legate alla “sola” Hb glicosilata.

Indubbiamente quello che emerge ad oggi, è che l’albumina glicata non vada a sostituire HbA1c, ma che la combinazione dei due parametri possa rappresentare uno strumento interessante per la stratificazione del rischio micro e macro vascolare.

Dott. Antonio Grimaldi

Biologo Nutrizionista

e-mail: grimaldinutrizionista@gmail.com

Tel: +39 327 15 66 840

 

Bibliografia:

  1. Ziyadeh FN, Han DC, Cohen JA, et al. Glycated albumin stimulates fibronectin gene expression in glomerular mesangial cells: involvement of the transforming growth factor-beta system. Kidney Int 1998;53:631-8.
  2. Chen S, Cohen MP, Ziyadeh FN. Amadori-glycated albumin in diabetic nephropathy: pathophysiologic connections. Kidney Int Suppl 2000;77:S40-4.
  3. Furusyo N, Koga T, Ai M, et al. Utility of glycated albumin for the diagnosis of diabetes mellitus in a Japanese population study: results from the Kyushu and Okinawa Population Study (KOPS). Diabetologia 2011;54:3028-36.
  4. Ikezaki H, Furusyo N, Ihara T, et al. Glycated albumin as a diagnostic tool for diabetes in a generalJapanese population. Metabolism 2015;64:698-705.
  5. Selvin E, Rawlings AM, Grams M, et al. Fructosamine and glycated albumin for risk stratification and prediction of incident diabetes and microvascular complications: a prospective cohort analysis of the Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) study. Lancet Diabetes Endocrinol 2014;2:279-88.

Fonte: “E. Dozio, A. Mosca”; L’albumina glicata nella gestione clinica del diabete mellito ; Giornale italiano di diabetologia e metabolismo 2017;37:179-186.4